Le elezioni del 1996 per l’elettore medio di centrosinistra italiano sono state l’unica grande vittoria alle elezioni politiche. A questo avvenimento è stata poi legata una fantasiosa narrazione che ha egemonizzato tutto il campo progressista fino a trasformare quel momento in un avvenimento quasi mitologico e pertanto indiscutibile (come lo sarebbe stato 10 anni dopo in forme analoghe lo strumento delle primarie). E, si sa, i miti sono duri a morire, anche di fronte ai numeri.
Partiamo dalla narrazione: le elezioni del 1996 “sono state la vittoria de l’Ulivo, della nuova politica che ha saputo andare oltre i vecchi partiti”, “la vittoria di Prodi contro gli apparati dei partiti, infatti poi D’Alema lo ha fatto fuori”, “un centrosinistra rinnovato e vincente che ha saputo andare oltre i vecchi giochini e le vecchie manovre di palazzo”.
Queste affermazioni (rese qui in maniera molto semplificata) sono poi state alla base di un orientamento che si è largamente diffuso nei pensieri dell’elettore medio e di buona parte anche dei gruppi dirigenti dei partiti del centrosinistra prima e del Partito Democratico poi, grazie ad una ricostruzione storica di stampo “scalfariano” propagandata da tutto il gruppo Espresso e soprattutto dal popolare giornale “La Repubblica”. Da ciò poi deriva automaticamente la santificazione della figura di Romano Prodi che da dirigente pubblico, presidente dell’IRI e ministro del quarto governo Andreotti è invece oggi considerato come l’uomo della società civile che finalmente scalzò dal potere le burocrazie dei partiti.
Ora chiarendo che non ho nulla contro Prodi e nemmeno nulla contro il giornale La Repubblica, vorrei però confutare questo senso comune, questa opinione diffusa utilizzando un semplice strumento, i risultati delle elezioni politiche del 1996.
La coalizione guidata da Romano Prodi ha conseguito 16.265.985 voti (pari al 43,39%) considerando non solo i voti de l’Ulivo e quindi del Partito Democratico della Sinistra, Popolari per Prodi, Lista Dini, Verdi, ma anche quelli di Rifondazione comunista partito col quale l’Ulivo strinse un patto di desistenza. La coalizione del Polo per le Libertà (Forza Italia, Allenaza Nazionale e CCD-CDU) arrivò a quota 15.772.203 (pari al 42,07). La Lega Nord (che si presentava da sola) invece raggiunse quota 3.776.354 (10,07%).
Qui dovrebbe apparire anche al più disattento osservatore che la somma di Polo per le Libertà e Lega Nord (partiti che in tutte le altre elezioni politiche sono semre stati alleati) supererebbe il 54% dei voti. Così come appare chiaro poi contando i seggi alla camera dei deputati che la coalizione de l’Ulivo (tra maggioritario e proporzionale ha raggiunto quota 287 deputati) ha potuto avere una maggioranza parlamentare solo gazie all’accordo di desistenza con Rifondazione Comunista (che ha eletto 20 deputati in quota proporzionale e 15 nei collegi sotto l’insegna dei “Progressisti” con l’appoggio de l’Ulivo).
Dalla lettura pura e semplice di questi due dati fondamentali mi piacerebbe abbozzare un racconto alternativo di quella vittoria del centro-sinistra e una lettura diversa di quella che è ormai (ahimè) passata.
La vittoria di Prodi non è stata affatto una vittoria contro i partiti e gli apparati, semmai al contrario egli ha potuto vincere grazie ai partiti che lo hanno sostenuto (ricordiamo che quell’anno il PDS col 21,06% è stato il partito più votato del Paese) ed ha potuto governare grazie all’alleanza politica con Rifondazione comunista. Ma soprattutto D’Alema dovrebbe essere ringraziato da Prodi, perché senza la separazione che c’è stata tra Polo e Lega (alla quale l’allora segretario del PDS ha lungamente lavorato, prendendosi ovviamente tutte le critiche del caso per i 15 anni successivi) l’Ulivo quelle elezioni non le avrebbe mai vinte. Quini non c’è stata alcuna vittoria “contro” le manovre politiche, esattamente al contrario è stata una vittoria ottenuta grazie a due fondamentali manovre politiche: la separazione di Polo per le Libertà e Lega Nord da una parte e l’alleanza con Rifondazione dall’altra.
Poi verrà la caduta del Governo ad opera di Rifondazione e l’imputazione di questo fatto a D’Alema e tutta la retorica anti-dalemiana che ne è seguita.
Ma questo fatto e la lettura di questi avvenimenti sono a mio avviso alla base di alcune storture che ancora permangono in buona parte della classe dirigente del PD di oggi, cioè, in soldoni l’idea (propagandata da buon parte di stato dirigente prodiano e veltroniano) per cui ci sarebbe una società civile guidata da Prodi (o chi sarà il suo successore) grazie alla quale il centrosinistra ha potuto e potrà vincere in futuro e un Apparato guidato da D’Alema che è causa di tutti i mali e le sconfitte della sinistra da sempre.
Come si è cercato di dimostrare attraverso i numeri, non può esserci nulla di più falso di questo. Fino a quando il PD non avrà il coraggio di guardare al recente passato e alla breve storia della cosiddetta seconda repubblica con onestà, provando a lasciarsi alla spalle letture mitologiche, probabilmente non riuscirà a fare i conti con se stesso e darsi un’identità chiara e definita, una ragione sociale e una strategia politica.
Non ci sono partiti, burocrati o apparati da abbattere, tutto ciò che c’era è già stato abbattuto da tempo. Ora c’è da ricostruire, un partito, un impianto e una cultura politica.
Pierino